Comincia il suo lavoro di ricerca fotografica in bianco e nero, contemporaneamente realizza i primi cortometraggi a basso costo, premiati in alcuni festival e poi trasmessi da Tele+ e Rai.
Nel 1999 ottiene il primo premio al concorso Canon; dal Gennaio del 2000 è uno dei fotografi dell'Agenzia Contrasto.
La sua ricerca si sviluppa e trae suggestioni per lo più posando lo sguardo sulle realtà umane e paesaggistiche della sua terra.
I suoi lavori vengono premiati in numerosi concorsi, pubblicati dalle maggiori testate italiane ed esposti in due personali alla Treffpunkt Galerie di Stoccarda e allo Stadthaus di Ulm.
Dal 2006 alcune sue stampe fanno parte della collezione di Forma, prestigioso centro per la fotografia di Milano e della galleria americana di Nile Tuzun.
Nel 2007 è premiato nella sezione "sports features singles" al World Press Photo, con un lavoro sui giovani calciatori cinesi.
Nella primavera del 2007 riceve il premio G.R.I.N.
Nel maggio 2007 espone a Palazzo del Duca di Senigallia la mostra "Viaggio intorno a casa", con catalogo edito da Contrasto.
La stessa mostra viene esposta nell'ottobre 2007 al centro Forma di Milano.
Come regista esordisce nel 2007 con il lungometraggio "Prova a volare" che ha fra gli interpreti Riccardo Scamarcio, Alessandra Mastronardi, Ennio Fantastichini e Antonio Catania.
Un senigalliese, che ha la fortuna di guardare il mare dando le spalle alle colline più belle del mondo.
E' nato prima il fotografo o il regista? Ci racconti gli inizi e quale è stata la tua evoluzione artistica?
Di sicuro il regista! Ho cominciato nel 1982 con la videocamera che prendevamo di nascosto ad Edmo Leopoldi, per girare i nostri video demenziali, con il figlio Amleto, Corrado Bacchiocchi e Paolo Fornaroli, che è diventato poi mio stretto collaboratore.
Anni passati a sperimentare inquadrature, a inventare scene, una passione fortissima.
Nel 1987 ho comiciato a scattare le prime foto e anche lì è stato fondamentale l'utilizzo, sempre gratuito, della camera oscura nel retro di "Foto Leopoldi": scoprivo il mondo dello sviluppo, della stampa, della magia della luce.
Nel 1989, vedendo i bimbi vestiti di bianco al compleanno di mio fratello, ho sentito l'esigenza di raccontare il loro gioco spensierato; quella serie dal titolo "le strade per giocare" rimane una delle mie intuizioni più felici.
Per ogni fotografo che viva a Senigallia è inevitabile scontrarsi e confrontarsi con l'opera di Mario Giacomelli, e tu sei stato definito da più parti il suo "erede naturale" anche a causa del tuo stile caratterizzato da forti contrasti, da figure in controluce e soggetti illuminati in maniera forte e diretta, nonché dallo stesso forte attaccamento alla vostra terra di origine, le Marche. Quale è stato il tuo rapporto col Maestro e cosa rispondi a chi ti paragona a lui?
Sono andato in cerca di Giacomelli e del suo pensiero, con l'umiltà di chi sa di scendere nel campo di un maestro assoluto.
Con lui ho avuto incontri occasionali, sempre presso lo studio di Leopoldi, ma anche appuntamenti nella suo angolo in tipografia dove gli mostravo qualcosa di quello che facevo, ma più che altro avevo piacere ad ascoltare i suoi racconti.
Il paragone con lui mi lusinga e mi imbarazza, ma credo che, se anche ci sono radici territoriali comuni e tratti stilistici similari, i nostri sono due mondi lontani più di quello che si creda.
Comunque lasciamo perdere i paragoni giornalistici: Mario è una leggenda, io solo uno che ha dimostrato di valere qualcosa.
Cerco di non far sentire troppo la presenza della lunghezza focale, soprattutto del grandangolo spinto, mi sembra una forzatura visiva che spesso toglie equilibrio e rigore compositivo; prediligo ottiche che vanno dal 35 al 50 mm. (nello standard del 24x36).
Stampo ogni foto personalmente, non ne potrei fare a meno: la camera oscura è un momento in cui si può stravolgere la foto e quello che si vuole dire con essa.
A volte proietto il negativo grandissimo e ci metto molto tempo a trovare la nuova composizione all'interno di esso, cerco sempre qualcosa che ad un primo sguardo non avevo visto.
Quali fotografi del passato, o ancora in vita, hanno influenzato maggiormente il tuo modo di fotografare? E quali ammiri in modo particolare?
Ne ammiro moltissimi, ma non credo che ci siano alcuni che mi abbiano influenzato al punto da sentirli come riferimenti; o meglio, tutti forse siamo influenzati dai maestri visto che li studiamo e nutriamo il nostro spirito anche grazie alle loro opere.
Ho pubblicato foto nei libri di "Contrasto", partecipando sempre con più fotografi: da "Eurogeneration" del 2003, a "Paesaggio prossimo" sulla provincia di Milano.
E' di prossima uscita un libro scritto da Antonio Pascale dal titolo "Solo in Italia" con contributi fotografici miei e di altri tre colleghi.
Le riviste che hanno pubblicato le mie foto sono un po' tutte quelle del panorama italiano: Sette, Ventiquattro, Il Venerdì, Panorama, Io Donna, Anna ecc... e poi alcune riviste francesi, come Images Magazine, Réponsès photo.
A Senigallia alcune mie stampe si trovano presso la galleria "Portfolio", a Milano presso "Forma", e infine alla "Nile Tuzun Gallery" a S.Francisco.
Una bella scoperta per me, quelle cose che ti cambiano la vita, e se ancora non mi hanno sbattuto fuori vuol dire che sto facendo discretamente.
Lavorare in Cina non è stato facile, perchè la mentalità e le regole in vigore sono molto severe e diverse dalle nostre.
E' stato fatto un lungo lavoro diplomatico, sempre attenti a non chiedere troppo e non urtare la loro disponibilità.
Ho avuto pochissimi giorni, direi poche ore, per effettuare gli scatti, tanto che il progetto base è stato integrato con quello dei giovani cinesi; li fotografavo incontrandoli negli hutong del centro o nelle immense periferie dove lo scenario cambiava di settimana in settimana, tanta era la velocità di costruzione di strutture e palazzi.
Come è nata la foto che ti ha regalato il terzo premio al World Press Photo?
Dopo 4 o 5 ore passate a vedere i ragazzi allenarsi non avevo ancora trovato qualcosa che mi stimolasse davvero; continuavo a vedere solo maglie bianche che si muovevano disordinatamente sul fondo verde del prato.
Una buona intuizione e un po' di fortuna.
Questo lavoro, il mio lavoro, anche se io continuo a non pensarmi come ad un professionista (parola che non mi si addice), si nutre dei riconoscimenti che ti vengono assegnati.
Con i premi ti riconoscono come autore, ma soprattutto, ed è questa la cosa che mi interessa di più, eviti di perdere autonomia e libertà nei lavori commissionati.
Gioie e amarezze: cosa ti ha lasciato dentro l'esperienza come regista di un lungometraggio? Un sogno realizzato, un traguardo raggiunto o una base di partenza verso nuovi progetti?
Accarezzare un sogno di una vita, vederlo realizzato, e poi trovarsi imprigionato nel marasma di disonestà e in cui sprofonda il cinema italiano, è stato durissimo.
Come altre volte, mi ha salvato la fotografia e le gioie che ne ricevevevo.
Spero che l'uscita del film e il buon successo che sta avendo nell'home video sia la base per altri progetti, non mi vedo a fare altro: sempre dietro un mirino devo stare per sentirmi bene.
Ti va di scegliere uno scatto dal tuo portfolio e di raccontarci "cosa c'è dietro"?
Ho disegnato quella specie di arzigogoli su un pezzo di negativo trasparente, quella parte in fondo al rullo che non prende luce, e poi ho proiettato il disegno su Marta con un diaproiettore.
La forza dell'immagine è data dalla dinamismo delle linee e da quelle due scie luminose che partono dalle sue pupille.
Ho usato un 30esimo di secondo, il tempo con cui scatto quasi tutte le mie foto.
Ogni espressione artistica è tanto più significativa quanto più viene dal profondo di noi stessi; bisognerebbe non perdere mai lo "sguardo puro" e, insieme, sviluppare una coscienza critica feroce verso se stessi.
Io ci sto provando.
Un grazie a Libero e a tutti voi per avermi ascoltato.
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